Ricordando San Paolo

Giudea e Samaria alla Luce del Dono e della Chiamata di Dio al Popolo Ebraico

San Paolo

Per molti ebrei, San Paolo era un giudeo rinnegato ricordato con amarezza per la critica da lui rivolta alla religione ebraica dopo essere diventato un ardente seguace di Gesù di Nazaret. Forse è arrivato il momento di bilanciare questa opinione negativa di Paolo con la massiccia difesa del Popolo ebraico che egli scrisse a metà degli anni 50 del primo secolo d.C., in una lettera alla chiesa Romana. Gli studiosi ritengono che l'obiettivo principale di questa lettera era quello di incoraggiare la coesistenza cristiano-ebraica e di impedire ai cristiani romani di supportare i sentimenti anti-ebraici che erano diffusi a Roma in quel tempo. La sua irrefutabile difesa degli ebrei costituì il supporto biblico più importante per il cambiamento di atteggiamenti verso gli ebrei avvenuto negli ambiti cattolici con il Concilio Vaticano Secondo. Si potrebbe pensare che se la difesa di Paolo degli ebrei fosse stata propriamente compresa e obbedita sin dall'inizio, il disprezzo per essi non avrebbe mai potuto mettere radici nella Chiesa.

In questa lettera ai cristiani romani vi è un'affermazione che merita un'attenzione speciale proprio nel momento attuale, quando il mondo intero sta criminalizzando, per non dire demonizzando, gli abitanti ebrei di Giudea e Samaria e chiedendogli di abbandonare queste terre. Gran parte di questo risentimento "anti-ebraico" deriva infatti da istituzioni e chiese cristiane, il cui atteggiamento verso gli ebrei dovrebbe essere, ma chiaramente non lo è, istruito dalla lettera di Paolo ai Romani. Negli ultimi anni, gravi accuse sono state perpetrate da istituzioni tra i quali il Consiglio Mondiale delle Chiese, la Chiesa Presbiteriana (USA), i Discepoli e la Chiesa Unita di Cristo, il Comintato Centrale Mennonita, Sabeel e Kairos Palestine. Più recentemente la Chiesa Metodista Unita è ricorsa ad un'azione punitiva degli ebrei di Giudea e Samaria tramite un boicottaggio. Non solo queste Chiese condannano e criminalizzano gli ebrei per il fatto di vivere nella loro antica patria, ma influenzano anche uomini di stato, politici e organizzazioni non governative a fare lo stesso o peggio.

A parte con i soliti argomenti legali, socio-religiosi e storici che supportano gli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria, a questi cristiani si dovrebbe far notare che nel loro atteggiamento si trovano addirittura in contrasto con San Paolo riguardo a questa questione. Infatti nella sua lettera ai cristiani romani, Paolo dice degli ebrei: “Quanto al vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevolcabili” (Rm 11,28-29). Nel contesto dell'elezione di Israele tramite i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, Paolo afferma che ‘i doni e la chiamata’ sono irrevolcabili. E nel riferimento ai ‘doni e alla chiamata’ concessi divinamente ai diretti discendenti dei patriarchi, nessuno può negare che il libero dono del ‘Paese’ sia tra i doni più prestigiosi. Non si tratta qui di abrogazione cristiana, sostituzione o supercessionismo, in quanto San Paolo conferma che i doni, incluso il dono del Paese, sono irrevocabili. Per tutti i credenti cristiani questo dovrebbe essere evidente, ma apparentemente non lo è.

Ciò ci porta alla costante incomprensione di questo passaggio avvenuta nel corso dei secoli. In uno studio della storia della sua interpretazione, il Prof. Joseph Sievers riassume, nel seguente modo, una serie di malinterpretazioni ecclesiastiche, tornando indietro di circa duemila anni:

Abbiamo osservato che la malinterpretazione di Ambrosiastro di Rm 11:29, basata su un semplice errore o su una teologia del battesimo in qualche modo forzata, esercitò la sua influenza per più di mille anni, persino oltre il tempo della Riforma Protestante. Erasmo e altri corressero questo errore sulla base di considerazioni esegetiche. Similmente, gli insegnamenti di Agostino sulla grazia e la predestinazione, che facevano estensivo uso dei nostri versi, ha avuto una lunga influenza sulla teologia cattolica e protestante, tuttavia la moderna esegesi ha mostrato che la preoccupazione principale di Paolo non era la predestinazione. D'altra parte l'approccio teologico di Karl Barth, sviluppatosi per esperienza diretta, ha aiutato ad articolare la questione del significato di Rm 11:29 in un nuovo modo, anche per gli esegeti. Infine, importanti impusi per un'ulteriore riflessione esegetica e teologica provengono dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II e di Papa Giovanni Paolo II (‘Una Storia sull'Interpretazione di Lettera ai Romani 11:29’, in Annali di Storia dell’Esegesi 14/2 [1997], 381-442, citazione da 442).

È quasi incredibile che un verso così piccolo e apparentemente semplice abbia dovuto aspettare fino alla metà del ventesimo secolo per cominciare ad avere senso per i fedeli cristiani. Il Prof. Sievers attribuisce questo ritardo al forte pregiudizio cristiano contro gli ebrei, che persistette più o meno intatto fino alla Shoah nazista:

Il verso, forse l'affermazione più concisa della fedeltà di Dio, è stato per molto tempo ignorato o ha causato delle difficoltà. Perché basandosi su una lettura cristiana di altri testi biblici, sembra inconcepibile che gli ebrei che non abbiano accettato Gesù come il Cristo possano ancora essere in una positiva relazione con Dio. Tuttavia si è discusso frequentemente che i doni e la chiamata di Dio o sono passati interamente alla Chiesa Cattolica o sono stati messi in attesa fino alla conversione degli ebrei… Soltanto sotto l'impatto che l'attacco di antisemitismo ha avuto in questo secolo si sono aperti gli occhi di teologi, scrittori, esegeti e capi religiosi cristiani alla possibilità che il nostro testo, nel contesto di Rm (9-) 11…, possa fornire una chiave ermeneutica per meglio comprendere le relazioni del Popolo ebraico con Dio e la Chiesa (op. cit. 440-1).

Sulla scia della Shoah, le comunità cristiane di tutte le denominazioni hanno citato continuamente questo verso nella loro radicale rivalutazione degli ebrei e nel loro tentativo di promuonve una più grande comprensione e tolleranza. Nella Chiesa Cattolica, in particolare, è uno dei passaggi più frequentemente citati nei documenti che trattano delle relazioni cattolico-ebraiche. Senza dubbio, è stato uno degli impulsi principali verso il riconoscimento della continuità del significato teologico del giudaismo e del Popolo ebraico, e verso l'abbandono di atteggiamenti supercessionistici.

Comunque, osservando gli attuali atteggiamenti verso gli abitanti ebrei della Giudea e della Samaria, ci si chiede se si sia mai compreso il pieno significato di questo verso e, più seriamente, se un persistente antisemitismo, diffuso in alcuni circoli, stia ancora ostacolando la sua comprensione.

Yochanan Ben-Daniel


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